venerdì 20 gennaio 2017

Il taccuino del critico: Come 'The Young Pope' della HBO ci sta prendendo tutti in giro

di Tim Goodman

Si, è strano e divertente e un serbatoio perfetto per i meme, ma la serie della HBO che vede Jude Law interpretare un anticonvenzionale pontefice americano ha in mente questioni più profonde

Si intuisce dalla prima inquadratura di The Young Pope della HBO (dove un neonato gattona su di una pila di altri bambini fino a che la telecamera si inclina verso il basso per trovare la star Jude Law, abbigliato nei suoi abiti papali, gattonare fuori dal basso della piramide di bambini) che le cose saranno strane, che lo sceneggiatore-regista Paolo Sorrentino ha il pieno controllo della sua visione e che quella visione è una che gli americani non hanno visto molto spesso.

Ma persino prima di quello, se siete stati su di un social media, probabilmente saprete di The Young Pope per via dei suoi numerosi meme, alcuni dei quali creativi ma molti giocano sul titolo e sulla parola "young (giovane)" in un modo contestualmente inesatto. Questa è una serie di cui si è parlato al riguardo, e si continuerà a farlo, per ragioni che sono temporaneamente divertenti ma non riescono a cogliere l'essenza di ciò che Sorrentino sta cercando. E forse la bizzarra bellezza di The Young Pope è che quella essenza è un bersaglio in movimento. I primi episodi sono una combinazione di bizzaria squilibrata e umorismo freddo (dry humor), ma la serie inizia a cambiare in un modo meno eccentrico più velocemente di quanto ci si possa aspettare e, dopo cinque episodi (metà della prima stagione), la serie diventa una meditazione sorprendentemente seria sulla solitudine e sulla fede.

Ma prima, il fattore stranezza in The Young Pope.

Da quella sequenza di apertura con i bambini, non c'è un ridimensionamento della stravaganza. Si va dal febbrile sogno d'apertura di Law in una scena dove saluta la folla estatica al Vaticano con un discorso che spazza via la pioggia, produce un soleggiato cielo blu e poi culina nella dichiarazione papale più progressiva della storia (pr sesso, pro masturbazione, pro preti gay, pro suore che dicono messa), completa di svenimenti comici e, alla fine, la rivelazione che questo papa americano, chiamato Lenny Belardo, deve svegliarsi. E lui si sveglia. Ma ciò che Sorrentino (La Grande Bellezza, Youth) ha fatto intelligentemente con quella scena è stato depistare il pubblico. Quei fedeli fan del Papa, ascoltando quel discorso progressista, diventano più stupiti che contenti. Riprese di singoli nella folla mostrano la loro disapprovazione. Fa credere al pubblico televisivo che la visione del nuovo Papa sarà troppo giovanile, troppo americana, troppo anticonvenzionale.

Ma poi, in una successione di scene divertenti che approfittano del viso carismatico e telegenico di Law, la sua abilità di fare un accento americano e il suo talento nel ritrarre la brusca schiettezza dei potenti, scopriamo che Lenny Belardo, che sarà chiamato Papa Pio XIII (che avrebbe dovuto essere un indizio), è, infatti, conservatore come pochi.   Mira, con il suo regno, a portare indietro tutti i progressi del Vaticano che potrebbero essere considerati progressisti, e, andando ben oltre, di estirpare i preti omosessuali, fare richieste profondamente restrittive al miliardo di cattolici in giro per il mondo e nel mentre di rendere il Vaticano un attore ancora più potente e sinistro negli affari mondiali.

Non che Young Pope perda la sua bizzarria in questo viaggio: c'è l'apparizione ricorrente di un canguro, riferimento alla Coca cola Zero Cherry, molte altre sequenze oniriche, un sacco di fumate di sigaretta e le brillanti buffonate comiche di Silvio Orlando, solo uno dei tanti attori Italiani e internazionali nel cast, e Diane Keaton nei panni di una suora. Ma mentre la serie diventa meno aggressivamente anticonformista, gli spettatori sono lasciati a riflettere su qualcosa che non è un meme, che non è "Jude Law è il giovane papa!" o le false premesse (che Sorrentino facilmente nega basandosi su quando ha iniziato a scrivere la serie) che la serie sia in qualche modo una satira politica dell'ascesa di Donald Trump. Una volta che si abitua alla cinematografia eccezionalmente bella, il magnifico uso della fotografia e della prosperità registica, ciò che rimane è una commedia drammatica che si è trasformata, davanti ai propri occhi, in qualcosa di più sostanzioso. 

Raramente ho guardato una serie - oltre, per dire, Twin Peaks - dove ho pensato in continuazione, "Aspetta, cosa?" così spesso. E quando Young Pope ha un po' di distanza dalle sequenze oniriche o dai canguri, sfida ancora la capacità di comprendere ciò che vuole essere e cosa sta cercando di fare.

Applaudo a questa cosa, e la televisione, persino in questa Età di Platino, potrebbe essercene di più. Quello che è più intrigante è che quale che siano gli  impulsi che si possano avere nel giudicare la serie a questo punto, il fatto rimane che ci sono altri cinque episodi per me da digerire, e Sorrentino ha già dato prova di poter ruotare in qualsiasi momento e andare in profondità nell'assurdo o nel drammatico, talvolta simultaneamente.  Non ho idea se The Young Pope, una volta che la prima stagione sia storia (una seconda non è stata ancora ordinata ma Sorrentino la sta scrivendo e certamente sembra probabile), si rivelerà all'altezza della sua ambizione. Ma sono estremamente occupato nel processo di arrivarci. 

Penso che parte della peculiare natura di questa serie ha a che fare con il fatto che viene da un cineasta Italiano e opera fuori dei ritmi sia della televisione Americana che dei nostri cugini, la televisione Inglese. Se avete guardato la serie televisiva italiana di gangster Gomorra, avrete il senso di come il ritmo sia differente all'estero (lo stesso per la serie Francese The Last Panthers),ma mentre queste erano influenzate chiaramente dalla televisione americana, Young Pope sembra come un idiosincratico film di 10 ore fatto da un visionario che è stato spezzettato in più episodi (che non sembrano disgiunti, per esser chiari).

Quindi ciò che stiamo ottenendo è una storia prodotta da un regista Italiano che prende una premessa - cosa succederebbe se, attraverso una serie di macchinazioni o, sapete, intervento divino, un cardinale americano diventasse inaspettatamente papa e nessuno avesse idea di come governerà - e inizia a baloccarsi con le inevitabili reazioni preconcette a quella premessa. SOno contento che l'HBO sia coinvolta in questa coproduzione internazionale e si stia prendendo quello che ammonta a un diverso tipo di rischio per il canale.

Sorrentino, in un intervista con The Hollywood Reporter, ha definito la serie "un thriller dell'anima," e vi garantisco che non ci sono stati molti meme se non nessuno riguardo a quello. Ha usato quella descrizione mentre distanziava la sua serie da House of Cards (che non mi è mai sembrata una comparazione corretta sin dall'inizio). E nella stessa intervista, Sorrentino ha detto forse la cosa più eclatante riguardo ciò che questa serie esplora - ed è eclatante perché ha meno della Coca Cola Cherry Zero a che fare con tutti i meme e le battute fatte prima che molti l'abbiano visto o gli abbiano dato almeno una possibilità: "In ultima analisi, parla dell'inquietante piccolo rumore della solitudine, della solitudine che è dentro tutti noi è che non viene mai compensata" Che non è la solitudine di qualcuno che non ha nessuno con cui parlare la sera, ma è una condizione più profonda e il senso di inquietudine derivato dal fatto che in ultima analisi si è soli. E questo è il perché quelli che hanno la consapevolezza di questa solitudine fanno le loro domande a Dio."

Si, la questione di Dio. Non proprio, "è su di un papa — ed è giovane!"

Quello che potremmo ricevere da The Young Pope è uno specchietto per le allodole con cui il creatore non ha nulla a che vedere, ma i social media - appropriandosene persino prima della messa in onda - si. Dal terzo episodio e persino in misura maggiore dal quarto e dal quinto, la serie è molto incentrata su fede e Dio e solitudine e spiritualità e convinzioni - le ultime due idee molto diverse dalle prime due. Potrebbe essere che una serie su cui molte persone voglio scherzare (e una a cui piace essere divertente e strana ma non necessariamente kitch o apertamente satirica) stia parlando molto intelligentemente di questioni molto più importanti di quanto chiunque si aspetterebbe.

TRADUZIONE A CURA DI DAVIDE SCHIANO DI COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE: hollywoodreporter.com

giovedì 19 gennaio 2017

'The Young Pope' Il creatore su i parallelismi con Donald Trump — e tutti quei Meme

Di  Jean Bentley

Paolo Sorrentino parla con THR della serie drammatica HBO e anche dei piani per la seconda stagione.

Jude Law sa dei suoi meme di Young Pope. Come ha detto sabato ai giornalisti all tour stampa invernale della Television Critics Association, nelle settimane passate non solo ha imparato cosa fosse un meme, ma ha anche visto internet trasformare lui e il suo ruolo come il cardinale americano Lenny Belardo, un ragazzaccio con un debole per le sigarette e la Coca cola Cherry Zero, in una cosa sola. 

Paolo Sorrentino, il cineasta italiano che ha creato, scritto e diretto tutti e dieci gli episodi della serie HBO, ha visto anche lui i meme. Sorrentino, con l'aiuto di un traduttore, ha parlato con l'Hollywood Reporter della popolarità in internet del suo show, dei paralleli tra il conservatore Papa Pio XII e il presidente eletto Donald Trump, e se abbia mai provato la Coca cola Cherry Zero alla ciliegia. In più, rivela che sta già lavorando a una seconda stagione, nonostante non sia stata ancora ordinata.

Prima le cose importanti: sapeva di tutti quei meme?

Lo so! Sono contento, Sono contento. Perché no? Va bene [quando] le persone parlano della serie. Se anche solo 10 di loro guardassero la serie, è una buona cosa. 

Un'altra domanda sciocca:le piace la Coca cola Cherry Zero? Da dove esce fuori questa cosa?

Mai assaggiata. Molti anni fa cercarono di portarla in Italia. Fu un fallimento. Quindi Coca cola Cherry Zero, non l'ho mai provata.

In essenza, di che cosa parla questa serie?

In ultima analisi, parla dell'inquietante piccolo rumore della solitudine, della solitudine che è dentro tutti noi è che non viene mai compensata. Che non è la solitudine di qualcuno che non ha nessuno con cui parlare la sera, ma è una condizione più profonda e il senso di inquietudine derivato dal fatto che in ultima analisi si è soli. E questo è il perché quelli che hanno la consapevolezza di questa solitudine fanno le loro domande a Dio.

Si vede piuttosto presto che la serie è anche sulla politica.

Anche sulla politica, si, perché il papa è la guida spirituale. Certo dentro c'è un sacco di politica perché essere la guida di 1 miliardo di persone nel mondo, che è il numero di Cattolici nel mondo, non si può non parlare anche di politica. 

Quando realizza una serie televisiva su scala globale con partner di tutto il mondo, tiene conto del fatto che i pubblici saranno così tanto diversi?

Per me, spero di raggiungere un pubblico globale se rimango fedele a me stesso invece di cercare un equilibrio e un bilanciamento per piacere a molti. Quindi più io cerco di raggiungere un pubblico globale, più tendo a fare cose che mi piacciono, e dato che sono quello che scrivo - io solo - allora quello è il caso.

Ha detto di esserti consultato con dei leader della Chiesa Cattolica che le hanno detto che c'è una buona probabilità che il prossimo papa sarà conservatore come questo qui

Guardi agli Stati Uniti!

Esattamente - era qualcosa che voleva rappresentare? Che cosa ne pensa dei paralleli che possiamo vedere fin da ora?

I paralleli tra [Lenny] e Trump sono completamente casuale perché ho scritto il personaggio del papa molto tempo fa quando Obama era il presidente. Comunque, nazioni importanti come gli USA e come il Vaticano, sanno che sono importanti perché sanno che rimangono leali a se stesse. Sono fedeli a se stesse. Papa Francesco e Obama hanno condotto i loro paesi, i loro stati un una nuova direzione e probabilmente dopo di ciò ci sarà la tendenza opposta. Quello che accadrà successivamente sarà una spinta conservatrice a riportare lo status quo a ciò che c'era prima. E quello spiega perché, dopo un papa come quello che abbiamo ora, ci potrebbe essere un papa come Jude Law e perché, dopo Obama, ci può essere un presidente come Trump. Perché c'è una conscia, collettiva tendenza a mantenere lo status quo com'era prima. Inconsciamente, uno stato, una nazione sente il bisogno di sopravvivere. E quando c'è qualcuno che dice no, affrontiamo la vita in un modo diverso, potrebbe creare una reazione opposta collettiva inconscia. 

Ha scritto la stagione due?

Lo sto facendo adesso.

Qualcosa del nostro clima politico attuale filtrerà nella stagione due?

Sai molto bene che se dico qualcosa, loro mi ammazzano!

La stagione due è stata ordinata ufficialmente?

No, non è stata ancora ordinata ufficialmente. Nel caso, è meglio scrivere ora. Ritornerò a realizzare un film quindi è meglio anticipare il lavoro. 

Molte recensioni hanno paragonato The Young Pope ad House of Cards. Ci si rivede?

No, perché si, House of Cards è una riflessione sull'esagerato, sfrenato abuso di potere. è un aberrazione con le sue mille possibilità. Qui, c'è il potere ma non è l'aspetto prevalente della serie. L'aspetto prevalente della serie è che è un thriller dell'anima. 

TRADUZIONE A CURA DI DAVIDE SCHIANO DI COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE hollywoodreporter.com

lunedì 16 gennaio 2017

Paura e Deliro: La bizzarra evoluzione delle Icone Horror negli anni 90

Di Nat Brehmer


Gli anni 90 erano un'epoca interessante per l'horror. Per un po', c'è stata l'esigenza di rinnovare tutto. Di rendere le cose fresche e diverse. Questo bisogno alla fine scomparve, ma non prima di lasciare un impatto duraturo su quasi tutte le nostre serie preferite. Freddy, Jason, Michael Myers, persino Pinhead non era immune dalla bizzarra rinascita degli anni 90.

Abbastanza stranamente, il primo grande stratagemma che il decennio tentò di mettere in atto per questi personaggi classici fu di ucciderli. Proprio all'inizio, abbiamo avuto Nightmare 6: la Fine e Jason va all'Inferno. Entrambi non solo cercarono di porre fine alle rispettive serie una volta e per tutte, ma portarono le cose in nuove direzioni ed espansero le back story dei loro protagonisti in modi coraggiosi e inaspettati.

In Nightmare 6: la Fine, possiamo deliziarci con un film alla John Waters, quasi post apocalittico. Interamente ambientato dieci anni nel futuro in modo tale che è impossibile da piazzare nella linea temporale della serie. Ad ogni modo, Springwood è un deserto e Freddy ha praticamente vinto, quindi sta cercando di scoprire come scappare dai confini della città e trovare nuove vittime.


Inoltre questo episodio ci da moltissimi retroscena sul personaggio di Freddy che non avevamo mai avuto prima. Di tutte le cose, questa è la cosa più saggia da fare per un possibile capitolo finale.   Lo snodo principale della trama è che Freddy ha una figlia, ma penso che le cose più interessanti sono quelle che fanno seguito a questa - ovvero che Krueger aveva una moglie e una figlia mentre era il massacratore di Springwood.

Inoltre ci racconta alacremente come Freddy ha ottenuto i suoi poteri e sia diventato un invasore di sogni ed è piuttosto deludente. Questo è stato il più grande tema ricorrente per tutti gli anni 90 e ha colpito quasi tutte le icone horror indistintamente: spiegare troppo. Ha quasi rovinato molte serie e il primo indizio di questa tendenza è stato l'incontro di Freddy con i pesci fluttuanti dalla faccia di teschio conosciuto come Demoni dei Sogni.

Jason è stato colpito in modo molto diverso. Jason va all'Inferno apparentemente fece ogni tentativo per spiegare tutto riguardo alla natura soprannaturale di Jason, ma solo per finire per sollevare ancora più domande. Mentre era un film davvero creativo ed è molto sottovalutato, l'idea che Jason semplicemente si trasformi in una lumaca demoniaca per spostarsi di corpo in corpo quando viene distrutto non fa nessun favore all'intera serie. Almeno ci presenta la famiglia Voorhees nel suo compresso, portando all'attenzione il padre di Jason - casualmente al meglio - per la prima volta.


Ma glissa piuttosto facilmente non spiegando come Jason abbia ottenuto questi poteri o come sia tornato e diventato così indistruttibile. Per tutta la stranezza che Jason va all'Inferno aggiunge, consente ai fan di decidere da loro su molte questioni.

Il peggior reo di questa idea dello spiegare eccessivamente, comunque, è stato Halloween 6: la Maledizione di Michael Myers. Il film fu realizzato con il solo proposito di spiegare ogni cosa. Che pensaste o meno di aver bisogno di sapere su Michael e i suoi retroscena, stava per cercare di coprire quegli argomenti. Aggiunge solo il danno alla beffa che questa sia la peggiore serie a cui dare questo trattamento di approfondimento perché l'intera intenzione dietro Michael Myers per cominciare è che non si dovrebbe sapere nulla su di lui. Lui è questo vuoto, questo male misterioso. Questa è l'intera ragione per la maschera.

Ciononostante La maledizione di Michael Myers spiega cose come una teoria eccessivamente prolissa dei fan tratta da internet scelta e prodotta dagli studios. Parla di un antico culto Druidico ai giorni nostri, che ha tenuto in vita la Maledizione di Thorn per generazioni. Una costellazione che appare ogni qualvolta Michael Myers ritorna a Haddonfield. A seconda di quale versione del film si vede, Michael potrebbe aver ingravidato la sua stessa nipote oppure il bambino è il risultato di molti anni di bizzarri esperimenti di clonazione.


Almeno nella versione andata nei cinema, il culto scopre di aver torto su Michael ed è incapace di controllarlo. La versione su cui i produttori erano coinvolti e la versione che tutti stavano scalpitando per vedere da anni era il film in cui Michael Myers era controllato dal culto e incestuoso.

Anche Non aprite quella porta si è rivelato non essere immune alla maledizione della spiegazione non necessaria.  Non aprite quella porta IV spicca particolarmente perché l'originale potrebbe essere il più semplice dei film citati qui. Catturava il pubblico perché sembrava reale. Era come se steste guardando la follia svolgersi di fronte ai vostri occhi. Ma il co-sceneggiatore dell'originale non la pensava allo stesso modo. Non pensava che il film originale stesse in piedi come qualcosa di realistico.

Quindi con Non aprite quella porta IV, praticamente rifece il primo film, ma lo connesse con gli altri spiegando che tutti questi omicidi non fossero avvenimenti casuali, perché cose simili non esistono. Questa famiglia invece uccide persone per appagare gli Illuminati, che inoltre probabilmente coordinano questi assassinii frequenti per bilanciare il bene e il male per appagare dei padroni alieni. Tutte queste idee presentate nel film, Henkel ha ammesso, sono le sue convinzioni. Stava modellando Non aprite quella porta sulla sua specifica visione del mondo e a quel livello è interessante.



Queste non sono state le uniche serie che hanno subito il bizzarro trattamento. Hellraiser: la stirpe maledetta ci ha dato l'intera origine della scatola mentre ha sparato Pinhead nello spazio in un lontano futuro. Chucky subì un completo restyling e venne ricondotto al suo passato riunendosi con la sua vecchia amante Tiffany ne La Sposa di Chucky. Quindi tutte le persone che si lamentano che i remake che abbiamo visto negli ultimi dieci anni soffrissero per via di un'eccessiva tendenza a spiegare devono essersi dimenticati dell'ingente surplus di spiegazioni che ci siamo sorbiti negli anni 90 e quanto abbia ferito virtualmente ogni serie horror moderna.

TRADUZIONE A CURA DI DAVIDE SCHIANO DI COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE:wickedhorror.com

mercoledì 1 giugno 2016

Che diavolo stava pensando Bill Plympton con Hitler’s Folly?


di  Mike D'Angelo

Regista: Bill Plympton
Durata: 67 minutei
Rating: Not Rated
Cast: Dana Ashbrook, Nate Steinwachs, Michael Sullivan
Disponibilità: Gratis presso plymptoons.com Giugno 3

L'Animatore Bill Plympton non ha mai evitato contenuti disturbanti.  I suoi corti migliori—molti dei quali furono mostrati nella serie Spike and Mike’s Sick And Twisted negli anni 90—possono essere spettacolarmente volgari, ispirando impulsi conflittuali dalla riasata ai conati di vomito. Sfortunatamente, solo questi ultimi si applicano a Hitler's Folly, che potrebbe anche essere chiamato benissimo Plympton's Folly. Incentrato sui primi sforzi di Adolf Hitler di diventare un pittore, più una menzione che il Führer aveva adorato Biancaneve e i Sette Nani della Disney, questo atroce mockumentary pretende di raccontare la storia segreta del regime Nazista, con la Seconda Guerra mondiale più o meno un aggiunta al progetto appassionato di Hitler: un Die Nibelungen animato di quattro ore interpretato da un papero a cartoni animati.  Secondo il blog di Plympton, tre persone appartenenti al suo staff abbandonarono il progetto alle prime battute, offesi dalla sua premessa. Il film completato (che Plympton sta rilasciando gratuitamente sul suo sito web) oltrepassa davvero il limite solo una volta, brevemente, ma è quasi surrealisticamente per niente divertente per tutta la sua durata. Al meglio, l'idea avrebbe portato a un corto intelligente di cinque minuti; invece, va avanti per più di un ora, come il più lungo video di CollegeHumor di tutti i tempi.

Il problema di base è semplice: Plympton è un animatore, e Hitler’s Folly è virtualmente privo di animazione. Il film inizia con una ripresa video appositamente scadente di un uomo (Michael Sullivan) che si rivolge alla telecamera, istruendo qualcuno di nome Josh di cercare una scatola nell'appartamento dell'uomo e successivamente essere sparato per la strada. Quando Josh (Dana Ashbrook, che interpretava Bobby Briggs in Twin Peaks ma adesso assomiglia a Jim Jarmusch) cerca nella scatola, trova le prove del tentativo di animazione di Hitle, e il resto di Hitler's Folly consiste principalmente di riprese di archivio dell'era Nazista, accompagnate dalla narrazione fuori campo di Josh. Occasionalmente, vediamo frammenti del cartone di Hitler—la maggior parte dei quali include il suo personaggio preferito, Downy Duck—ma la comicità qui è prevalentemente verbale e fiacca. Batute tipo includono reimmaginare la parola Nazi come NACI, che sta per National Animation Cinema Institute (Istituto Nazionale di Animazione Cinematografica), e spiegando che il passo dell'oca derivava dalla necessità di alzare il piede sollevato in alto mentre si camminava lungo le file del cinema appiccicose di soda versata. La parodia poco efficace de la Caduta, con i sottotitoli finti che vedono Hitler lamentandosi di Batman C. Superman o qualsiasi altra cosa, sembra Oscar Wilde a paragone. E quelle durano solo per quattro minuti, non una maledetta ora.

Infatti, Hitler’s Folly è così monotono che è quasi un sollievo quando Plympton vira verso il materiale che è apertamente offensivo, anche solo perché fa schizzare l'adrenalina per un momento. Qualche attore è stato assunto per false interviste, e uno di loro interpreta un ex "detenuto" di un campo di concentramento che spiega che i campi erano semplicemente studi di animazione, così soprannominati perché la troupe di animatore si concentrava così duramente sul proprio lavoro. Plympton modifica persino una foto del cartello di Auschwitz I “Arbeit Macht Frei” (“Il lavoro vi rende liberi”) per aggiungere le parole “Ink & Paint Dept” sotto, nello stesso carattere iconicamente affusolato. Se intendi usare la negazione dell'Olocausto come battuta, faresti meglio ad avere un solido obbiettivo satirico in mente; qui è semplicemente una variazione della gag centrale del film incredibilmente priva di buon gusto, che è stata già sfruttata fino alla nausea. L'intero progetto sembra fondamentalmente mal concepito ed è stato evidentemente così raffazzonato che la sua narrazione include molti errori udibili di Ashbrook, in pronuncia e inflessione, che sono stati semplicemente lasciati così. La parola “genius” è inoltre scritta in modo sbagliato come “genious” in un testo sullo schermo.) Plympton sostiene di dare il film gratuitamente "come un ringraziamento speciale ai suoi leali ammiratori," ma la verità è più semplice: Quasi nessuno pagherebbe per questa cosa.

TRADUZIONE a CURA di DAVIDE SCHIANO DI COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE:www.avclub.com/

lunedì 30 maggio 2016

SCUOLA DI MOSTRI: una collaborazione Black & Dekker


Celebrando il film di Shane Black e Fred Dekker in cui ragazzi tosti e istintivi affrontano i mostri Universal. 

di JACOB KNIGHT 

In onore di The Nice Guys, abbiamo dato il via a un mese di articoli settimanali dedicati a celebrare Shane Black e ai sottogeneri visitati dal suo ultimo film.

Se c'è una stele di Rosetta riguardante l'identità cinematografica dello sceneggiatore/regista Fred Dekker, è il suo film di debutto dell'86, Dimensione Terrore. Parlando fluentemente un dialetto da nerd appassionato di film, Dimensione è una lettera d'amore con il cuore in mano al cinema di genere, mescolando insieme film di fantascienza scadenti degli anni 50, un film di zombie mutanti, e body horror Cronenberghiano - tutto mentre strizza l'occhio e rimane comunque incredibilmente sincero quando quando si parla del suo centro emotivo di studenti collegiali arrapati. Certo, l'interesse amoroso condivide il cognome con il Re Canadese della Carneficina Dismorfica, mentre ad altri è fatto dono di nomi delle più grandi icone horror come Raimi, Romero e Carpenter. Ciononostante, Dekker riesce comunque a farci sentire qualcosa per queste battute di nicchia, caratterizzandoli a tutto tondo mentre respingono lumaconi parassiti spaziali sbalzati da un intergalattica improvvisazione su Il Demone sotto la Pelle.  Questo è un vero dono: essere simultaneamente consapevoli di sé ed emotivamente onesti.

Il film di Dekker subito dopo Dimensione Terrore è il film per cui è più noto. Funziona come un esame accurato di 80 minuti della mente di un pre adolescente ossessionato con "Famous Monsters of Filmland", Scuola di Mostri del '87 è un film per ragazzi per quelli che si trovano spesso sperduti nella sezione horror del videonoleggio con la propria mamma. Simpatiche Canaglie incrociato con Abbot and Costello Meet Dr. Jekyll & Mr. Hyde, Scuola di Mostri è un ovvio tentativo di realizzare un film di mostri Universal da parte di coloro che pensavano che i Goonies non potesse grattare a fondo quel prurito alla Fangoria. È un bilanciamento quasi perfetto di humor, horror e cuore, in cui figura il bonus aggiunto di una sceneggiatura assistita da Shane Black. Quindi mentre l'incantevolmente solitaria interpretazione del mostro di Frankenstein di Tom Noonan è senza dubbio indimenticabile, è inoltre fantastico vedere il maestro dei film buddy cop prestare un po' della sua caratterstica salsa piccante nell'irriverente stufato di Dekker.

Black e Dekker sono stati buoni amici fin da quando erano compagni di classe all'UCLA. Dekker chiese a Black se voleva lavorare su Scuola di Mostri con lui, e i due buttarono giù l'idea della storia nel giro di qualche settimana mentre erano rinchiusi nell'appartamento di Dekker. Black poi uscì e scrisse la prima stesura della sceneggiatura da solo (guadagnandogli il primo credito in relazione alla sceneggiatura del film). Quello che risultò fu una sceneggiatura gigantesca, che si aggirava sulle 160 pagine. Con l'aiuto del produttore esecutivo Peter Hyams (Capricorn One), Dekker subentrò nelle revisioni, tagliando un ammontare significativo di sviluppo dei personaggi e snellendo la storia (la stesura originale di Black passava pagine su pagine sviluppando i genitori dei protagonisti cacciatori di mostri). Il risultato potrà non essere sofisticato come il cinema action per cui Black è diventato famoso, ma conservava lo sfrontato pastiche che Dekker aveva perfezionato con il suo film precedente.

Scuola di Mostri accoglie un aura di fantasia fatta a mano dai suoi fotogrammi originali, in quanto le lenti di Bradford May cattura la consistenza tangibile di questo dungeon del destino fondale dipinto. Oltre le ragnatele e i cadaveri ci sono bare, da cui il Principe delle Tenebre (Duncan Regehr) sorge e s'imbarca in una missione per distruggere il pianeta (subito dopo essersi confrontato con Van Helsing, ovviamente). Radunando un'orda di viscidi camerati del grande schermo – la Mummia, l'Uomo Lupo, la Creatura della Laguna Nera, e il Mostro – Dracula crea un sinistro "universo condiviso" in tredici minuti invece di tredici film. Stan Winston porta ogni essere alla vita con un occhio per il dettagli notevolmente marcati da museo delle cere; una meravigliosa collezione di icone manipolati e immaginati nuovamente per una nuova generazione dipendente dal gore estremo e dalla violenza della serie di Venerdì 13.  

I sobborghi invasi da questa truppa del terrore sono una nebulosa, poco focalizzata idealizzazione che sta da qualche parte tra Velluto Blu di David Lynch e il miasma melanconico da classe lavoratrice di una canzone di Springsteen. Nessuno lavora in un mulino o si fa mettere in cinta al fiume, ma i membri fondatori del “monster club” della città, Sean (André Gower), è il figlio di un poliziotto stanco morto (Stephen Macht) e una dotata casalinga sottovalutata (Mary Ellen Trainor). In queste diafane, anti realistiche descrizioni di conflittualità domestiche che sembrano gli avanzi più significativi della stesura epica di Black. Trainor porta una rassegnata tristezza al suo ruolo, mentre guarda il padre di Sean andar via da un appuntamento per lavorare su di una scena del crimine. Macht espressivamente incontra il suo meglio a metà strada, interpretando il padre come un uomo che sa di star dando la priorità alle cose sbagliate nella sua vita, ma non può farne a meno perché è dipendente dal suo lavoro. In una differente congiunzione con Shane Black, lui e il suo partner (Stan Shaw) sono un altra classica coppia da buddy cop – uno nero, uno bianco, entrambi che cercano di abbattere i cattivi. Solo che qui i cattivi hanno zanne e artigli, e gli adulti non sono pensati per credere a tali ridicoli esseri spaventosi. 

Completamente convincente è quanto cattivi sono i bambini. Tenendo il passo con la tendenza che i film di Shane Black non si inseriscono mai in uno stampino politically correct, la piccola casetta sull'albero è abitata da duri che si lanciano insulti omofobici l'un l'altro mentre danno al loro corpulento amico, Horace (Brent Chalem), il soprannome piuttosto letterale “ciccione”. Il loro protettore vestito di pelle iscritto alle superiori, Rudy (Ryan Lambert), spia e scatta foto da ricatto della bella ragazza della porta accanto quando si cambia prima di affilare paletti di legno nella classe di falegnameria. Comunque è difficile non aspettari che queste merdine siano spigolose tra di loro, mentre realizzano piani per proteggere il mondo mentre osservano ai poster per schifarsi di horror Italiani come Zombi 2 di Lucio Fulci e guardano film slasher nel drive-in dal tetto di Sean. Dekker ottiene delle performance da ogni attore adolescente che sono a cavallo della linea tra il cartonesco e il realista, in quanto la crudeltà casuale dello script suo e di Black sembra naturalistica in maniera scioccante nella sua descrizione di spavaldi fifoni ragazzini bianci emarginati.   Usando il gergo dei nostri tempi, Scuola di Mostri è fottutamente sveglio.

C'è inoltre una giustificata oscurità nel film di Dekker che si estende oltre l'invasione di bestie immaginarie. Il tipo tedesco spaventoso (Leonardo Cimino) che i ragazzi arruolano per tradurre il diario di Van Helsing e li aiuta a scacciare le forze delle tenebre si rivela essere un sopravvissuto all'Olocausto. Lui crede a questi ragazzi quando si presentano alla sua porta spacciando storie di vampiri e lupi mannari perché è già stato testimone del culmine della malvagità umana. In seguito, il padre di Sean è costretto a guardare il suo partner morire in un orribile esplosione, ululando in quanto il poliziotto è incapace di estrarre il suo migliore amico dalle fiamme. Scuola di Mostri è cattivo nella sua malizia, alludendo e ritraendo esplicitamente la sofferenza e le ferite emotive a cui molti film (fatti per giovani o teste bianche) si sottrarrebbero. 

Il finale di Scuola di Mostri prende la forma di un film di azione/avventura a rotta di collo, in quanto i ragazzi improvvisamente si ritrovano protagonisti nel loro film horror (ateriori a Danny Madigan e Last Action Hero). Il padre di Sean se le da con l'Uomo Lupo, mentre Horace raccoglie un fucile e si schiera contro la Creatura. Dekker ha spesso accreditato Hyams nelle interviste per aver promosso una mentalità da Vecchia Hollywood sul ste, e l'influenza dei Western dello studio può essere certamente sentita durante lo scontro di mezzanotte. Questo è mezzogiorno di fuoco (a mezzanotte), solo che invece che pistoleri che estraggono revolver con rigorosi sceriffi, abbiamo un gruppo di reietti che fanno sapere a queste creature della notte che loro non spazzeranno via la razza umana dall'esistenza. Tutto mente, la gamma di colori pop da fumetto di Dimensione Terrore rimane, in quanto Dekker non ha paura di prendere goffamente il largo.

Possibilmente l'elemento più affascinante di tutti è il fermo riconoscimento che i generi cambiano. I mostri dell'Universal di cui Dekker si innamorò da ragazzini non erano più popolari, e gli anni 80 avevano già visto la sensibilità del cacciare e uccidere divenire popolare e diventare demodé. Quindi resuscitò le icone di un era passata in un modo che doveva essere attraente per una generazione che avrebbe fatto parte de la Scuola di Mostri, avessero Dracula e i suoi scagnozzi invaso la loro città. Non solo il film di Dekker è un film di formazione che gira attorno a dei reietti nerd che realizzano pienamente il potente potenziale che posseggono, raddoppia come un trattato sulla natura transitiva del racconto, e come il genere cannibalizzi costantemente se stesso - rigurgitando carne e sangue per essere riformato in una nuova immagine per gli attuali consumatori. In questo modo, il film di Dekker stabilisce la sua stessa identità diventando inalienabilmente legato al decennio in cui fu concepito. Questo non è Piccole Canaglie o i Goonies, o uno degli altre facilmente comparabile collezione di mocciosi colorati. Questa è la Scuola di Mostri, e non c'è nessun lavoro troppo strano per loro da affrontare.

TRADUZIONE a CURA di DAVIDE SCHIANO DI COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE: birthmoviesdeath.com

venerdì 27 maggio 2016

Con Holy Hell, un superstite di un culto condivide 22 anni di riprese dall'interno


di A.A. Dowd

Regista: Will Allen
Durata: 103 minuti
Rating: Not Rated
Cast: Documentario
Reperibilità: Select theaters May 27

Ventidue anni è un enorme porzione di vita da sacrificare a un falso profeta e alle sue vuote promesse di salvezza spirituale. Ma quando l'aspirante cineasta Will Allen emerse dal culto che aveva usato e abusato della sua devozione per più di due decenne, almeno aveva qualcosa da mostrare per il tempo perso: rulli su rulli di riprese, la registrazione su pellicola che aveva ammucchiato in quanto documentatore ufficiale del gruppo e ministro della propaganda non ufficiale. Holy Hell è il frutto di quel travaglio. Attraverso una combinazione della sua vasta libreria di riprese casalinghe e una serie di interviste uno a uno condotte con i suoi colleghi raggirati, Allen invita il pubblico a rivivere tutti i 22 anni trascorsi sotto l'influsso di un ciarlatano; lui ricostruisce una esposizione sotto copertura di vita all'interno di un culto. Ma è vedere questo inganno di massa in azione la stessa cosa che capirlo? Possono le immagini e i testimoni da soli fornire l'intera storia?

Ci vorrebbe certamente più di quanto scorgiamo in Holy Hell per afferrare il fascino magnetico di Michel, l'untuoso guru venuto dal niente del gruppo spirituale di Los Angeles, The Buddhafield. Descritto da uno dei suoi ex seguaci come "un attore sfaccendato che ha trovato il ruolo di una vita" - appare come uno dei groupie satanici di Rosemary Baby, abbastanza ironicamente - Michael venne in America in cerca della fama come attore cinematografico, poi si rivolse al porno prima di arrivare alla leadership New Age come una strada alternativa ai vantaggi e all'adorazione servile che bramava. Agli osservatore esterni guardare queste trasmissioni di celluloide dai primi giorni del gruppo, Michel sembra dall'inizio come il viscidone che è - uno stramboide narcisista in occhiali da sole e un costume slip che fa una cattiva imitazione di swami. Holy Hell cerca di far luce su come quella dozzinalità, quell'aura da. celebrità wannabe di L.A. , era tutto parte della sua sceneggiata da venditore ambulante, il modo in cui sembrava aggiornare i principi dell'era flower power per una moderna, California ossessionata-da-look-e-status. Stava vendendo vecchia saggezza in una nuova confezione.

Il film in pratica inizia nel 1985, quando Allen—un laureato di una scuola di cinema ostracizzato da sua madre dopo il coming out - si aggregò a più di 100 altri uomini e donne che per primi divennero consumati dai rituali del "The Teacher." Condensando, un po' troppo ordinatamente, due decenni pieni in un'ora e 40 minuti, Allen ci porta dalle idilliache radici del movimento (vivere comune e pulito; costante supporto e conferme) al suo doloroso declino, in quanto l'utopica filosofia di Michel lentamente si rivela la porta di servizio per l'auto esaltazione.  Se non altro, Holy Hell trasmette i dettagli pratici di come la "comune" del culto funzioni, mostrando ogni passo della lunga truffa di The Teacher: le sessioni di terapia da 50 dollari (o "purificazione") che rendono i seguaci dipendenti da false catarsi; la strategica attesa dell'illuminazione spirituale (o "sapere") per tenere tutti obbedienti; e l'assegnazione di nuovi nomi e il troncamento dei legami con la famiglia, per assicurare che i membri sono troppo coinvolti per abbandonare. È come Going Clear: Scientology e la prigione della fede al livello del suolo, esponendo il lavoro interno di una truffa spirituale di scala molto più piccola.

Holy Hell ha un innegabile fascino da incidente d'auto, specialmente una volta che Allen rivela semplicemente quanto profondamente questo guru particolarmente falso ha abusato della fiducia dei suoi fedeli. Nascondere delle informazioni può essere un trucchetto da due soldi nella realizzazione di un documentario, ma la tardiva, rivelazione che flette la cronologia delle colpe più oscure di Michel funziona meno come uno scossone e più come un accenno alla repressione e alla negazione che teneva The Buddhafield a galla. Quello che il film non comunica mai, quello che non può comunicare, è la spaventosa presa che The Teacher aveva sui suoi discepoli. “Come ti è successa questa cosa?” qualcuno si chiede con aria assente verso la fine del film, e guardate Holy Hell in cerca di una risposta. Ma nessuna delle prove d'archivio che Allen ha assemblando riesce a trasmettere il carisma del leader o la sua attrazione - di lasciare che il pubblico lo veda attraverso gli occhi miopi dei suoi seguaci. Il cineasta commette quel peccato cardinale cinematografico di raccontare invece di mostrare, montando attraverso spezzoni di suono dei suoi soggetti brevemente spiegando cosa li condusse lungo questa strada e cosa videro in Michael. Il film vi lascia con la voglia di saperne molto più di quanto i suoi fotogrammi disinvolti e magri 100 minuti possano fornire. 

Comunque, forse quella mancanza di connessione - quell'incapacità di diventare immerso in ciò che queste persone stessero provando, per comprendere il fascino dell'eccentrico imbroglione i cui piedi baciarono - è perfettamente a proposito. A un punto avanzato del film, uno dei discepoli confessa che agire contro Michel in uno dei glorificanti cortometraggi di Alleno lo aiutò finalmente a realizzare che l'intero movimento era una sorta di performance, una finzione.  Forse Holy Hell serve la stessa funzione per Allen: col passare al setaccio tutte le vecchie immagini della sua vita, vedendo le sue memorie spassionatamente catturate dall'occhio della telecamera, può finalmente vedere Michael per chi davvero era - e si spera nel processo, ripulirsi dall'influenza dell'uomo una volta e per tutte. Il film da la sensazione, principalmente ,come di un esorcismo, ed è struggente vedere questi sopravvissuti reclamare le loro identità davanti alla camera, di passare all'altro lato più forti.  Forse Allen ha ottenuto più di un tesoro nascosto di riprese in prima persona della sua difficile esperienza. Forse, come Holy Hell provocatoriamente suggerisce il culto ha salvato la sua vita. O sfuggirgli l'ha fatto, a ogni modo.

TRADUZIONE a CURA di DAVIDE SCHIANO DI COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE: avclub.com

mercoledì 25 maggio 2016

Il cineasta giapponese di culto che ha ispirato Darren Aronofsky

Il lavoro del ribelle degli anime Satoshi Kon si è fatto strada tra innumerevoli altri film che hanno reinterpretato il suo stile inimitabile.


Di Alex Denney

Cinque anni fa, il Cinema ha perso uno dei suoi più sublimi talenti visivi. Satoshi Kon, appena 46 anni quando morì per cancro al pancreas nel 2010, era un vero originale i cui film sondarono i confini della realtà e delinearono con spaventosa accuratezza l'impatto di una società tecnologica sulla psiche umana. Senza il suo lavoro, Neo potrebbe non aver mai preso la pillola rossa, e l'ondata post-Matrix di film Hollywoodiani che trattavano la realtà soggettiva - Fight Club, Inception, Requiem for a Dream - potrebbero non esser mai ruzzolati fuori dalla tana del bian coniglio sui nostri schermi. Quindi perché non vediamo più tributi alla sua arte?

La scena della vasca da bagno in "Requiem for a Dream" rassomiglia esattamente la stessa scena in "Perfect Blue"
La risposta risiede in parte nel fatto che Kon - una volta apprendista del regista di Akira Katsuhiro Otomo - era un animatore i cui temi marcatamente adulti non furono apprezzati immediatamente dai pubblici occidentali condizionati a pensare all'animazione come settore orientato alle famiglie. Ma era animazione, con le sue infinite possibilità di innovazione visiva, che consentì al genio di Kon come montatore di risplendere. “(I film di Kon erano) su come le persone moderne se la cavano nel condurre molteplici vite - privata e pubblica, sullo schermo e fuori di esso, veglia e sogno,” dice Tony Zhou in Editing Space and Time, un breve documentario sullo stile di montaggio di cui faceva sfoggio Kon, che si introduceva direttamente nei suoi temi riguardo alla nostra sempre più atomizzata esistenza nell'era dei media.  “Nell'animazione, c'è solo ciò che si vuole comunicare” disse Kon, spiegando la sua preferenza per la forma sui film dal vivo. “Se io avessi la possibilità di montare film dal vivo, sarebbero troppo veloci da seguire per il pubblico.”

Nessuno dei lavori di Kon fu un gran successo al botteghino sia in patria in Giappone o all'estero, sebbene la sua relativamente snella opera - quattro film, una serie televisiva di 13 episodi - gli guadagnò un fervente seguito di culto durante la sua vita. Tra i fan del suo debutto, Perfect Blue del 1997, c'era il regista di Pi - il teorema del delirio Darren Aronofsky, che acquistò i diritti del film - un raggelante sconvolgente miscuglio meta di Hitchcock e Argento per la generazione post-internet - con un opzione per dirigere un remake dal vivo. Quel progetto non decollò mai, ma Aronofsky prese in prestito interamente la scena della vasca da bagno dal film di Kon per il suo film successivo, Requiem for a Dream (2000). 


Fu, comunque, un progetto che Aronofsky diresse quasi un decennio più tardi che ha la più stretta rassomiglianza con Perfect Blue. A seconda di quale angolo di internet vi capiti di frequentare, il Cigno Nero è o una brillante estrapolazione dei temi esplorati in Perfect Blue, o uno spudorato atto di furto. Per quelli che non l'hanno visto, Perfect Blue + la storia di un'irreprensibile cantante di un gruppo di ragazze diventata attrice la cui carriera sotto i riflettori inizia ad allentare la sua presa sulla realtà, mettendola in rotta di collisione con un doppelganger malvagio. Scambiate ‘cantante-diventata-attrice’ con ‘ballerina’, e le somiglianze con il film Aronofsky sono già evidenti. Aronofsky, che ha scritto un tributo a Kon in un nuovo libro di recente, ha negato di essere stato influenzato dal film al Philly Film Fest nel 2010: “Ci sono delle similarità tra i film, ma non ne è stato influenzato. È davvero venuto fuori dal Lago dei Cigni, volevamo drammatizzare il balletto, questo è perché è un po' altalenante, perché il balletto è grande e piccolo in un sacco di modi."


Il mettere in questione di Kon le assunzioni sottostanti ciò che chiamiamo 'realtà' in Perfect Blue prefigura anche la fantascienza altamente concettuale di Matrix.  Che i Wachowski abbiano visto il film di Kon o meno prima di sceneggiare il loro film è una questione controversa, ma certamente, i fratelli sono appassionati di manga per loro stessa ammissione, e le idee del film sul se e come costruisca il mondo attorno a noi risuonano profondamente con il punto di vista postmoderno di Perfect Blue sull'essere e sull'incertezza.. (In maniera interessante,Millennium Actress (2001) di Kon ha battuto sul tempo sia i Wachowski che Aronofsky nella sua storia d'amore attraverso le ere.) La visione di Perfect Blue di una realtà dinamica e in costante mutamento spunta in un altro tema del film: l'erosione di internet della privacy personale, un argomento a cui Kon in seguito ritornerà con Paprika (2006). Un surreale cyber Thriller riguardante il furto di una macchina che consitente all'utilizzatore di vedere i sogni delle persone, la premessa del film trova una evidente eco in Inception di Christopher Nolan (2010), un fatto che, ancora una volta, non ha eluso gli appassionati di anime dalla vista d'aquila.

Ma dove Nolan porta la sua caratteristica precisione adamantina in Inception, Paprika si lascian andare con il materiale in modi che Nolan non avrebbe mai potuto sognare (letteralmente) - i titoli di testa sono un tour de force d'immaginazione visiva, mentre la sequenza del sogno d'apertura vince comodamente in stranezza con la scena di combattimento sottosopra del corridoio di Inception.


E ancora, nonostante la sovrabbondanza di stile visivo, ci sono temi seri a lavoro qui. Niente nel lavoro di Kon è inserito a casaccio, non importa quanto stravagante. Prendete la sequenza della parata in Paprika, per esempio, i cui mostruosi convogli di samurai, bambole sinistre e frigoriferi ambulanti possono sembrare senza significato all'inesperto occhio occidentale “Quella fremente identità sembra molto ordinaria in Giappone, dove non si ha una religione assoluta come il Cristianesimo, ma molteplici dei e dee della natura ,” Kon disse al LA Times nel 2006. “(Per esempio), Io sono seduto a LA, rispondendo alle tue domande, ma nella mia mente, potrei ricordare il lavoro lasciato a Tokyo e chiedermi che cosa ci sarà oggi per pranzo. Altre persone non possono farne esperienza.”

“Non pensi che i sogni e internet siano simili?” dice la Dottoressa Atsuko Chiba, alter-ego dell'eroina eponima di Paprika, a un certo punto del film. “Sono entrambe aree dove la mente conscia repressa prende respiro.” Dato l'odierno clima di indignazione dei social media ed estremismo online, suona sinistramente preciso, specialmente per un film fatto prima di Facebook e Twitter.  Certo, parte della genialità di Kon è che, di pari passo con l'essere un brillante esteta, era un pensatore rigoroso che associava le sue immagini a un set cogente di temi. Prendete in considerazione questa citazione da un intervista rilasciata nel 2006 al Washington Post alla luce delle recenti rivelazione sul NSA e del governo che ficca il naso nelle nostre attività online: "Negli Stati Uniti così come in Giappone i dati dai computer vengono rubati molto frequentemente," diceva. “E c'è una riscrittura della nostra stessa mente, in un certo senso, perché ci vengono mostrate immagini ripetutamente e dettoci riguardo a nuovi prodotti, come qualcosa sia superiore a ciò che esisteva in precedenza. Quello imprime sulla mente certe immagini e pertanto influenzando le persone in quel modo - quello è il terrorismo a cui stavo pensando in Paprika."


Il film suscitò una standing ovation dopo la sua premiere al Festival del Cinema di Venezia, un trionfo critico all'altezza delle precedenti acclamazioni simili di Perfect Blue, Millennium Actress e del suo altro film animato, il meno apertamente lisergico Tokyo Godfathers. (La sua serie televisiva, Paranoia Agent, è descritta in modo promettente dal biografo di Kon Andrew Osmond come simile a  Twin Peaks e X-Files). Ugualmente, c'è una sensazione che Kon, un talento alla pari con artisti come Aronofsky e Nolan cosi come influenze come Terry Gilliam e David Lynch, non ha ancora ricevuto quanto gli spetta come regista.

Prima della sua morte, Kon scrisse una lunga, commovente lettera sulla progressione della sua malattia, e le sue paure che il suo ultimo film, una pellicola per bambini, non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare allo schermo.  Il progetto –  che potrebbe vedere la luce del giorno – era intitolato Dreaming Machine. Come titolo, sembra un giusto riassunto dei talenti dell'uomo.


TRADUZIONE a CURA di DAVIDE SCHIANO di COSCIA
ARTICOLO ORIGINALE: dazeddigital.com/